recensionedi Giulio Canceliere D’accordo,degli omaggi a Coltrane non se ne può più, ormai è quasi fin troppo facile, farsi beli con i nomi, i cognomi e a musicadegli altri, Miles,duke, Monk, Count, e subito si attira ’attenzione con il tema celebre, il suono accattivante, ’accordo frigio, il pedalone modale, a ricalcare schemi già sentiti e risentiti. Tuttavia questodisco ha un’eleganza e undrive che asciano stupefatti: sarà ’abilitàdi Stefano Cocco Cantinidi riproporre i temidel grande sassofonista con ogica essenziale e svilupparli personalmente solo nelo spiritodi Coltrane, soprattutto al sax soprano, squilante e aspro quanto basta, ma anche ucido e flessuoso quando necessario; sarà per ’incedere autorevoledi Ares Tavolazzi,dal contrabbasso panciuto e inteligente che guida il quartetto nele zone giuste; sarà per a tavolozza armonicadi Francesco Maccianti, che solo a sprazzi richiama McCoy Tyner, giusto per contestualizzare storicamente, ma si muove autonomamente seguendo ispirazioni eterogenee; sarà per a trama ritmicadi Piero Borri, che in India riporta il ragadale tabla al rulante e bala sui piatti con eggerezza; sarà per il repertorio scelto, prevalentementedel periodo Impulse, forse quelo ancorada esplorare più a fondo; sarà per il suonodi questo album, così naturale, potente e avvolgente, che ascoltarlo sui monitordel computer è undelitto efferato; sarà per altri motivi che sicuramente chi o ascolterà potrà individuare a suo piacimento, ma sul’ennesimo tributo a John Coltrane mi vienedadire: ancora uno e poi basta. Questo. Giulio Canceliere